Quando
arriva a Roma poco più che ventenne, Camillo è un povero sbandato: soldato di
ventura, giocatore d’azzardo, malato e infelice. Le scelte esistenziali
compiute fino a quel momento rivelano come di fatto Camillo concepisse la sua
vita come un’avventura senza regole e senza un reale riferimento a Dio e alla
sua volontà. Nel febbraio 1575 – anno santo indetto da Papa Gregorio XIII -
Camillo incontra a San Giovanni Rotondo un cappuccino e gli apre il proprio
cuore confidandogli i suoi travagli esistenziali. Padre Angelo – questo il nome
del Cappuccino -, dopo aver raccolto lo sfogo di Camillo, gli dice: “Pensa
che quello che conta veramente è solo Dio, tutto il resto al confronto è
nulla. Preoccupati di cercarlo, di pregarlo, di goderlo, di piacere a
lui.” Questa parole fecero breccia nella mente e nel cuore del giovane e
costituirono l’avvio della sua conversione che lo portò a decidere di spendere
il resto della sua esistenza al servizio degli “ultimi”.
Dopo
l’incontro illuminante con il cappuccino Padre Angelo, Camillo capisce che il
Signore lo chiama ad una scelta di vita di totale consacrazione. E tuttavia non
ha ancora ben chiaro quale determinazione concreta dare a tale scelta di vita.
All’ospedale san Giacomo di Roma, dove egli
viene ricoverato per curare una misteriosa piaga, Camillo riflette e riconosce
in quella piaga un disegno di Dio e afferma: “Giacché Dio non mi vuole cappuccino,
è segno che mi vuole qui che mi vuole qui a servire i suoi poveri
infermi”. Con l’aiuto di san Filippo Neri, nel frattempo divenuto suo padre
spirituale, Camillo capisce che la vocazione a cui Dio lo chiama è quella di
stare in ospedale accanto ai malati. Egli diviene così, sull’esempio di Gesù,
un buon Samaritano tra le corsie degli ospedali, tutto proteso ad assistere gli
infermi nelle loro sofferenze spirituali e fisiche. Come Gesù che nella sua
vita avvicinava i malati, gli storpi, i sordi e i ciechi per guarirli e
benedirli, così Camillo tentò di offrire loro il sostegno medico possibile a
quell’epoca e soprattutto di comunicare loro sempre il conforto e l’amore che
vengono dalla fede in Cristo. La dedizione per i malati, con il desiderio di aiutarli
a guarire utilizzando le risorse della scienza e l’impegno umano ispirato
dall’amore (“Quando vi dedicate ai malati, mettete più cuore in quelle mani”),
è l’eredità che s. Camillo ci ha lasciato e che oggi è portata avanti ad
esempio da tutte quelle persone, uomini e donne, che compongono la grande
“famiglia camilliana”. Ma si tratta di un’eredità che interpella e invita
all’impegno tutti quanti si professano cristiani, indipendentemente dalla loro
vocazione specifica.